A quell'appello straziante per una grazia impossibile, io scoppiai in pianto. Credetti giunta l'ora terribile di svelare la verità, di troncare quel misero filo di vita con un ultimo, grande dolore.
Ma Gualfardo, generoso, grande, clemente come un Dio, si alzò, venne a me stendendomi le mani, e mi disse:
- Volete essere mia sposa domani, Fulvia?
Poi, col piglio sommesso con cui soleva dirmi dopo un bacio quel crudele
Perdonate" che mi gelava il cuore, tornò a ripetere stringendomi le mani:
- Volete?
Egli perdonava; faceva sacrificio di sè, del suo sdegno, dinanzi al desiderio d'un moribondo; e per risparmiargli un dolore diceva realmente a me, che non amava più, a me, che disprezzava:
Volete essere mia sposa?"
Era troppo grande sacrificio per lui; troppa grande gioia per me che la meritavo così poco.
Ebbi il coraggio di respingerla, e, con uno sguardo che voleva dire:
Secondatemi" risposi:
- Domani è impossibile, Welfard. Dovete prima far venire le vostre carte. Scrivete; procuratevele, e poi ci sposeremo subito.
Gualfardo mi strinse ancora le mani, poi me le lasciò cadere susurrandomi:
- Brava!
Era una parola crudele. Mi diceva che liberandolo da me lo aveva salvato. Eppure mi fece del bene. Il suo amore era perduto per me. Mi era ancora un conforto la sua stima.
Ma il babbo disse con tristezza:
- Ci vorranno almeno otto o dieci giorni. Il vostro paese è tanto lontano! Non avrò tempo a vedervi uniti!
Allora fui io che presi la mano di Gualfardo, e traendolo accanto al letto dissi:
- Tu avrai tempo a vederci sposi, ed a vivere con noi molti anni, babbo.
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