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      C'era infatti una lettera sua. Nell'aprirla tornavo a dire tra me:
      Se potessi amarlo ancora!" e la mia mano tremava. E le forme vaghe di vaghe speranze alate sembravano delinearsi più e più nel vuoto infinito.
      Quell'epistola era abbastanza breve perchè io possa riportarla qui per intero:
     
      Fulvia!
      Dicono che un uomo affetto da spinite, quando è seduto, crede di poter camminare come chicchessia.
      Lo stesso è accaduto a me. Credevo di poter ancora amare e mi sono ingannato. L'amore per me può essere tutt'al più, come voi dicevate, un episodio tempestoso.
      Ho lungamente lottato fra la ripugnanza ad ingannarvi, e la paura di darvi un dolore.
      Perdonatemi e compiangetemi! Darei dieci anni della mia vita per sapervi felice.
      Spero per voi nel tempo, nella lontananza, e più più ancora nell'effetto morale che la mia condotta deve fare sul vostro animo.
      Perdonatemi!
      MAX.
     
      Ed io ammiravo la sua anima appassionata! Bruciai ad una ad una quelle lettere belle, poetiche, eleganti, passionate, strane; poi bruciai quell'ultima che era soltanto strana.
      E nel vuoto, le forme vaghe delle vaghe speranze alate svanirono per sempre.
     
     
     
      XXXVI.
     
      Massimo,
      Ho scritte queste memorie durante il mio soggiorno in America; e le ho scritte per voi.
      Esse non sono un rimprovero; non sono una risposta alla vostra felice trovata o similitudine, o non so più che figura rettorica, sulla spinite.
      Sono una specie d'espiazione pe' miei piccoli e grandi errori, pe' dolori che ho procurati ad altri, per lo spreco che ho fatto della mia fede, delle mie speranze, della mia mente e del mio cuore.


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Tempesta e bonaccia. Romanzo senza eroi
di Marchesa Colombi
G. Brignola Editore
1877 pagine 172

   





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