Per lunghi mesi ho agitato a mio modo la grande questione di Amleto: Essere o non essere.
E decisi di non essere più.
Ma, dietro la pace e la solennità della morte, mi apparvero le cento figure goffe e pettegole delle cronache dei giornali, coi loro commenti indiscreti ed il loro biasimo pedante.
Allora tentai un'ultima prova. Feci toletta come una civettuola; mi studiai di esser bella e di piacere, e mi slanciai nel mondo decisa di innamorarmi, se fosse possibile.
Imposi a me stessa di prestare attenzione a quanti mi corteggiavano per sorprendere il primo barlume di preferenza.
Scontrai un uomo d'ingegno, che aveva viaggiato molto. Era bello; parlava bene; aveva uno spirito acuto, ed una voce appassionata. Era poeta, e mi dedicò dei versi belli di quella tranquilla poesia della verità e del sentimento, a cui s'inspira la letteratura inglese. Mi corteggiava, senza affettazione, senza chiasso.
Mi lasciai corteggiare; feci delle chiacchere sentimentali, cercai di esaltarmi; ma dopo alcuni giorni mi accorsi che sprecavo tempo e fatica. Ero perfettamente fredda.
Rinunciai tosto a quella commedia inutile. Più tardi mi accorsi che il bel poeta mi amava realmente, e soffriva del mio strano procedere.
Allora mi rimproverai d'essere stata egoista; compresi che non avevo diritto di giuocare coi sentimenti d'un altro per misurare i miei; di lusingare un cuore confidente, dacchè non potevo più amare che la memoria del mio perduto Gualfardo.
Oh! a me sì che s'attaglia veramente la parabola della spinite!
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Amleto Essere Gualfardo
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