Ora che sapevo a che fine l'aveva condotta il mio amore, sentivo la sua superiorità ed i miei torti.
Povera Fulvia! quanto mi amava! e come nobilmente m'amava! Perchè non avevo saputo renderle quell'amore passionato ch'ella sognava e che meritava tanto. Contenderla al suo fidanzato, al suo dovere, a lei stessa? Povera Fulvia! Come sarei stato felice con lei! E sospiravo sul mio stato presente; e quei sospiri la vendicavano.
Non tenni conto del tempo, dei cambiamenti di treno, delle fermate, di nulla.
Non avevo che un pensiero: "Fulvia." E lo elaborai per tutto il viaggio. Non attendevo che una parola: "Chamounix."
Finalmente, quando Dio volle, senza saper come, mi trovai arrivato.
Scesi all'albergo, e per prima cosa m'informai se non erano accadute disgrazie nelle ultime salite al Monte Bianco.
- No, nessuna disgrazia.
Là almeno non mi credevano pazzo. La domanda era naturale. Potevo avere un fratello, un babbo, un figlio alpinista, di cui mi mancassero notizie.
- Ma dal principio del mese non c'erano state ascensioni?
- Sì, parecchie.
- Non avevano veduta una signora?
- Una signora? Sì, più d'una.
- E... non era perita quella signora sul Monte Bianco?
- No. L'albergatore non lo credeva. Non s'era parlato di una disgrazia.
- Le guide! Volli vedere le guide.
Ne furono chiamate parecchie. Due avevano accompagnata una carovana in cui erano delle signore. Ma nessuna era rimasta vittima.
Volli dare i connotati di Fulvia; ma non si ricordavano. Mi risposero dei sì e dei no contradditorii.
Ma forse Fulvia s'era vestita da uomo.
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