- Ma tu, Welfard, potrai tu perdonarmi il mio torto, potrai tu amarmi ancora?
- Oh cara, mi rispose col dolce accento passionato de' nostri primi abboccamenti del collegio, non sai che t'ho amata sempre? Non sai che neppure un'ora ho dubitato della tua onestà? Era il tuo cuore che mi sfuggiva; ma io sapevo che tornerebbe; ed ho lasciato tempo al tuo cuore di tornare a me. Quei due giorni fatali che passasti a Milano, io non t'ho abbandonata un momento. Ti vidi uscire dallo scalo. Ti udii dire alla contralto:
- Povera me! Se qualcuno mi vedesse!
- Fu allora che mi nacque un sospetto; perdonami, Fulvia; ti amavo... E presi anch'io una carrozza di piazza, e seguii quella che ti conduceva. E scesi allo stesso albergo, e presi la camera accanto alla tua; e traverso la porta ti ho vegliata sempre. Ho vedute le tue impazienze, le tue lagrime. Ho udita la tua conversazione con Giorgio, e la terribile confessione del tuo amore per Guiscardi. T'ho veduta con lui... Ho sofferto, Fulvia; ho molto sofferto. Ma partii di là, ti seguii a Milano colla certezza che, se non mi amavi più, non avevi cessato d'esser buona ed onesta. Ti ricordi che quando volesti farmi la tua confessione, io ti risposi:
- So tutto!
- Te ne ricordi? Poi vidi la lotta che si agitava nel tuo cuore, quando una fatalità dolorosa e cara ci tenne per tanti giorni strettamente uniti al letto del povero babbo. Un istante mi parve che tu mi amassi ancora, e fu con tutta la sincerità del mio cuore che ti dissi:
- Vuoi essere mia sposa domani?
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