Di modo che ciascun giudizioso comprende esser favola il dire che mai non si seppe di quell'isola per averne i Cartaginesi abbandonato il dominio e la navigazione per paura che altri gliela togliessero e venissero poi a travagliar la libertà loro, poi che maggior paura di ciò doveva loro recare la Sicilia o la Sardegna, che giacevano due giornate di mare lontane dalla loro città, che la Spagnola, fra la quale e loro era il terzo del mondo. E se si dicesse che dubitavano forse che le ricchezze della terra potessero far potenti i loro nemici, da che a loro poi ritornasse alcun danno, dico che piuttosto avevano cagion di sperare, essendo essi padroni di cotali ricchezze, di poter resistere e soggiogare chi volessero, e che se lasciavano deserta quell'isola avrebbero lasciato in potere d'altrui lo scoprirla, onde risultasse ad essi lo stesso danno che sospettavano. E però dovevano piuttosto fortificarla e custodire la sua navigazione, siccome noi sappiam ch'essi altre volte fecero in simile caso, perché, avendo trovate le isole che allora chiamavano Cassiteridi, e ora noi chiamiam degli Astori, tennero la loro navigazione molto tempo segreta per ragion dello stagno che da quelle traevano, siccome recita Strabone nel fine del terzo libro della sua Cosmografia.
Laonde, quando fosse vero che Aristotele avesse questa favola scritta, si potrebbe dire ch'egli avesse inteso quel che disse della navigazione nelle isole degli Astori, il che per falsa intelligenza, e per la grande antichità, o per l'affezione che accieca gli uomini, ora l'Oviedo argomenta che si debba intendere delle Indie, le quali ora possediamo, e non delle dette isole degli Astori, o d'alcuna di quelle.
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