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      Onde alcuni, che gli udirono, rapportorono a' popolani; i quali cominciorono a inacerbire, e per paura e sdegno innasprirono le leggi; sì che ciascuno stava in gelosia. Erano i principali del popolo i Magalotti, però che sempre erano stati aiutatori del popolo: e aveano gran séguito, e intorno a loro aveano molte schiatte che con loro si raunavano d'uno animo, e più artefici minuti con loro si ritraevano.
     
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      I Grandi congiurano in più modi a' danni di Giano (1293 - 1294).
     
      I potenti cittadini (i quali non tutti erano nobili di sangue, ma per altri accidenti erano detti Grandi) per sdegno del popolo, molti modi trovorono per abbatterlo. E mossono di Campagna un franco e ardito cavaliere, che avea nome messer Gian di Celona, potente più che leale, con alcune giuridizioni a lui date dallo imperadore. E venne in Toscana patteggiato co' grandi di Firenze, e di volontà di papa Bonifazio VIII, nuovamente creato: ebbe carta e giuridizioni di terre guadagnasse; e tali vi posono il suggello, per frangere il popolo di Firenze, che furono messer Vieri de' Cerchi e Nuto Marignolli, secondo disse messer Piero Cane da Milano procuratore del detto messer Gian di Celona. Molti ordini dierono per uccidere il detto Giano, dicendo: "Percosso il pastore, fiano disperse le pecore".
     
      Un giorno ordinorono di farlo assassinare; poi se ne ritrassono per tema del popolo. Poi per ingegno trovoron modo farlo morire, con una sottile malizia; e disson: "Egli è giusto: mettianli innanzi le rie opere de' beccai, che sono uomini malferaci e maldisposti". Tra' quali era uno chiamato Pecora, gran beccaio, sostenuto da' Tosinghi, il quale facea la sua arte con falsi modi e nocivi alla republica; era perseguitato dall'Arte, però che le sue malizie usava sanza timore; minacciava i rettori e gli uficiali, e profferevasi a mal fare con gran possa di uomini e d'arme.


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Cronica delle cose occorrenti ne' tempi suoi
di Dino Compagni
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