Palesai a Giano la congiura fatta contro a lui, e mostra' li come lo faceano nimico del popolo e degli artefici, e che, seguitando le leggi, il popolo li si volgerebbe addosso, e che egli le lasciasse, e opponessesi con parole alla difensione. E così fece, dicendo: "Perisca innanzi la città, che tante opere rie si sostengano". Allora conobbe Giano chi lo tradiva, però che i congiurati non si poteano più coprire. I non colpevoli voleano esaminare i fatti, saviamente; ma Giano, più ardito che savio, gli minacciò farli morire. E però si lasciò di seguire il fare le leggi, e con grande scandolo ci partimo.
Rimasono quivi i congiurati contro a Giano; i quali furon messer Palmieri di messer Ugo Altoviti, messer Baldo Aguglioni giudice, Alberto di messer Iacopo del Giudice, Noffo di Guido Bonafedi, e Arriguccio di Lapo Arrighi. I notai scrittori furono ser Matteo Biliotti e ser Pino da Signa. Tutte le parole dette si ridissono assai peggiori: onde tutta la congiura s'avacciò di ucciderlo; perché temeano più l'opere sue che lui.
15
Consiglio de' Grandi in Sa' Jacopo (1294 - 1295).
I Grandi feciono loro consiglio in San Iacopo Oltrarno, e quivi per tutti si disse che Giano fusse morto. Poi si raunorono uno per casa, e fu il dicitore messer Berto Frescobaldi, e disse, "come i cani del popolo aveano tolti loro gli onori e gli ufici; e non osavano entrare in palagio: i loro piati non possono sollicitare: se battiamo uno nostro fante, siamo disfatti. E pertanto, signori, io consiglio che noi usciamo di questa servitù. Prendiam l'arme, e corriamo sulla piaza: uccidiamo amici e nimici, di popolo, quanti noi ne troviamo, sì che già mai noi né nostri figlioli non siamo da loro soggiogati".
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