Dè quanto male si mise a fare questo cavaliere, il quale da lui avea ricevute di gran grazie in così poco tempo! Ché donato gli avea il bel castello di san Donnino, e uno altro nobile castello, il quale tolse a' Cremonesi e dié a lui, il quale era sulla riva di Po; e la bella città di Reggio gli avea data in guardia, credendo che fusse fedele e leale cavaliere. Il quale, armato sulla piazza di Parma, gridò: "Muoia lo Imperadore!", e il suo vicario cacciò fuori della terra, e i nimici accolse. Coprivasi con false parole, dicendo che non per danari il facea, ma perché il marchese Palavisino avea rimesso in Cremona, il quale tenea per suo nimico.
Premeano i Fiorentini i loro poveri cittadini, togliendo loro la moneta, la quale spendevano in così fatte derrate. E tanto procurorono, che messer Ghiberto rimise gli adversari dello Imperadore in Cremona; però che gli ritenea e afforzò sulla riva di Po: e un giorno cavalcò contro messer Galasso, che era alla guardia di Cremona in servigio de' Bresciani forse con C cavalli; e entrarono nella terra, e tanti con loro se ne appoggiorono, che pochi fedeli dello Imperadore vi rimasono: a' quali convenne votar la terra.
Messer Guidotto dalla Torre co' cavalieri accolti di Toscana vi cavalcò. La terra afforzarono di fossi e di palizzi. Il conte Filippone contra lo Imperadore stava con animo iroso, e cercava parentado con messer Ghiberto e congiura e lega. Gli usciti di Brescia si raunorono con loro. Però che a quello che perdonò l'umiltà dello Imperadore, non perdonò Iddio: ché la parte di messer Tebaldo Bruciato, ricevuto il perdono dello Imperadore, una altra volta gli volle ritòrre la terra; onde l'altra parte, avuto più tosto il soccorso, con l'arme in mano, di Brescia e del contado gli cacciò. Dè quanta malizia multiplicò intra' Lonbardi in picciol tempo, in uccidersi tra loro, e rompere il saramento dato.
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