- Guarda, che se non stai buono, vado via.
- No, non mi lasciare, non mi lasciare più, mai, mai! - esclamava Paolo ricadendo sul letto, indebolito.
- Oh chico, oh chico mio! - rispondeva Leona, tornando ad avvicinarsi, con una gran tenerezza nel volto e nella voce.
In quello stato di leggerezza e quasi di rinnovellazione che è la convalescenza, Paolo faceva spesso dei progetti per godersi meglio il suo amore, il suo primo e splendido amore. Bisogna lasciare Roma: in questo Leona era d'accordo con lui; e quando ragionavano di ciò che farebbero, lei non mancava di dirgli con un accento pieno di stanchezza e di desiderio:
- Oh portami via, portami via!
Dove sarebbero andati? che importava, a patto che fossero soli e felici. Egli si ripeteva dei versi di un poeta che aveva letto, fantasticando, altra volta:
Fuggir lontano, ignoti al mondo, insieme,
Senza un addio, dimenticare! O riveDove s'intaglian per le sere estive
Gruppi immoti di palme, e l'aria fremeDi penetranti balsami impregnata,
e cala a balzi l'antilope, e guata!
E l'immaginazione, abbandonata a se stessa in quelle ore di ozio languido e lento, gli rappresentava paesaggi incantevoli dove poter nascondere l'amor suo a tutti gli uomini: rive d'oro sul mare silenzioso; boschi profondi e fragranti di palme e di pini; vasti giardini di rose illuminati dalla luna; asili innumerevoli di piacere e d'amore.
Anche Leona, gli occhi fissi e largamente aperti, lo seguiva in quei pellegrinaggi ideali; e quando egli aveva finito di descrivere quei luoghi evocati e animati dall'ardore del suo desiderio, ella batteva le mani come una bambina, e gridava:
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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania 1901
pagine 167 |
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