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      Senza intendere bene la poesia selvaggia di quel luogo, Leona, per istinto, l'amava. L'oste recava in tavola un fumoso lume a petrolio, delle posate di latta, dei grossi bicchieri di vetro, una bottiglia di vino e il miglior pane che avesse, guardando con riverente stupore quei due signori che si arrischiavano nella sua trattoria.
      Leona, tutta felice tra quel puzzo mescolato di petrolio, di muffa e di rigovernatura di piatti, si levava i lunghi guanti profumati e il cappellino elegante, si accomodava d'un gesto i braccialetti scintillanti di gemme sui polsi e il boa intorno al collo, e cominciava a sorbire le ostriche e a esaltare la bellezza del luogo, mescolando al suo recente italiano lunghe frasi spagnole e ardite interiezioni napoletane in un cinguettio pieno di una grazia indescrivibile.
      Si faceva narrare da Paolo quanto egli sapeva circa la storia di quel castello, e ascoltava a bocca aperta, come una bambina i racconti delle fate. Ogni tanto, in mezzo il pasto, si alzava per affacciarsi dall'apertura e guardare sotto il mare che intorno alle rovine del palazzo Donn'Anna fremevano e singhiozzavano, fischiavano e urlavano, e si rifrangevano tornando per gli anditi sottostanti. Se ne ritraeva quasi subito con un brivido di paura e di freddo, e rimettevasi a sedere e a ciarlare e a sgranocchiare nocciole e a bere vino bianco di Capri.
      Il ritorno era dolce. Nella solitudine lunga della riviera di Chiaia, Paolo se la pigliava sotto il braccio, e le mormorava nell'orecchio roseo e caldo, protetto dalla pelliccia odorosa, le frasi pił tenere e pił appassionate.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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