Quando questi pensieri le affaticavano la mente, Leona cercava di mandarli via con un segno di croce, come cattive tentazioni; si inginocchiava e pregava; voleva distrarsi in ogni modo: ma essi tornavano, prima che ella potesse averne coscienza, persino quando voleva occuparsi d'altro: e se ne trovava più ingombro l'animo appunto quando si figurava di averlo liberato.
A questi turbamenti interiori presto anche si aggiunse un rincrudimento peggiore nel carattere dell'uomo che, solo, avrebbe ancora potuto salvarla, con l'amore e con il sacrificio. La fortuna si era voltata contro il conte Paolo, il quale perdeva rapidamente i denari che aveva guadagnati; e, non sapendo con chi sfogarsi, se la pigliava, come di solito, con la sua amante. Ella stava zitta e sopportava in silenzio, ma senza più piangere, quelle ingiuste violenze; una volta gli disse:
- Ma io che posso farti? Perché te la pigli con me?
- Io non me la piglio con nessuno! - brontolava Paolo.
- Vuoi che me ne vada?
- Ah ti farebbe piacere di piantarmi, ora che io non possiedo più nulla!
Leona diventava pallida.
- Tu sai bene che io non sono venuta a star con te per denari - gli rispondeva calma: - sei tu che mi hai voluta, per forza. Io ti amo, lo sai; ti amo ancora adesso, benché tu sia tanto cattivo.
Era una scena di tutti i momenti. Pareva che lui non si potesse più vedere quella a donna davanti. Le faceva il viso arcigno, la maltrattava, le rimproverava, con frasi maligne, la loro miseria; ma quando ella gli domandava se desiderava di vederla andar via, non rispondeva o rispondeva che era lei che voleva abbandonarlo.
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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania 1901
pagine 167 |
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Leona Paolo Paolo
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