E la sventurata restava.
Un giorno, allo svegliarsi, Paolo ricevette un telegramma. Lo lesse, e balzò a sedere sul letto.
- Che c'è? - domandò Leona, che glielo aveva portato.
- Arriva Caligaris stasera, alle sei.
- Arriva, dove?
- Dove ha da arrivare? qui, a Napoli - rispose Paolo dispettosamente.
Leona non aggiunse altro; ma ebbe una stretta al cuore, inesplicabile. Paolo disse:
- Che ore sono?
- Le due.
- Va bene. Ho il tempo di far colazione.
Si lavò, si vestì, in capo a un'ora fu pronto per uscire. Disse a Leona:
- Stasera bisogna preparare il pranzo per tre.
- Non ho denari - disse ella piano, chinando la testa.
- Fallo venire dal caffè d'Europa, e non mi seccare! - gridò lui sbattendo, nell'uscire, la porta.
Alle sei in punto si trovava nella stazione, tra il fracasso assordante dei facchini che vociavano, degli impiegati che davano ordini, delle carrette che trasaltavano sul selciato, delle locomotive che fischiavano. L'aria era tiepida: una striscia di cielo roseo si stendeva sul lontano orizzonte; e qua e là fiammeggiavano accesi i primi fanali.
Improvvisamente si udì un fischio più lungo, più acuto degli altri; apparve una colonna di fumo, e il treno, rumoreggiando, entrò nella stazione. Due, tre, gridarono dominando il tumulto:
- Napoli! si scende! Napoli!
Gli sportelli si aprivano: i passeggeri, coi bagagli in mano, scendevano a frotte. Paolo guardava i vagoni per scoprire il suo amico; fissava i viaggiatori che gli passavano davanti; a un tratto vide il Caligaris che lo salutava con la mano ritto alla ringhiera del vagone-salone.
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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania 1901
pagine 167 |
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