- Avete visto Paolo?
- Siamo stati oggi insieme, per circa un'ora.
Sedettero. Il Caligaris prese una sigaretta dalla scatola di lacca incrostata di madreperla che stava sul tavolino di mezzo, e disse a Leona:
- Permettete?
- Fumate, fumate pure.
- Ma voi perché non seguitate a suonare? So che le vostre canzoni spagnole fanno furore... quasi più dei vostri occhi, che è tutto dire.
Leona si era levata in piedi ed era andata a serrare tutte le porte. Si mise a sedere su uno sgabello dirimpetto a Gabriele, i gomiti sui ginocchi, il volto fra le mani, e gli disse:
- Aspetto.
- Che cosa aspettate, cara?
- Che mi diciate quello che mi dovete dire.
- Oh, vi devo dire tante cose, io! - rispose Gabriele lanciando una boccata di fumo.
- Cominciate dal dirne una. Ma fatemi il favore di essere serio - soggiunse Leona, strappandogli la sigaretta di mano e lanciandola fuori della finestra aperta.
- Voi me l'avete data, voi me l'avete tolta, sia fatta la vostra volontà - disse il Caligaris, accennando verso la finestra con comica rassegnazione.
- Dunque?
- Dunque, punto primo: io vi amo.
- Le solite!
- No, ve lo dico per darvi coraggio di ascoltare il resto. Perché io vi amo davvero, amo come si ama a quarant'anni, non come si ama a ventuno.
- E poi?
- E poi, sapete perché sono venuto, io, a Napoli?
Leona accostò lo sgabello con atto di viva curiosità, diventando un po' pallida. Gabriele riprese:
- Sono venuto per incarico della contessa Cappello, la madre di Paolo; la quale propone al figliuolo di perdonarlo, di pagargli i debiti e di crescergli l'assegno mensile, a un patto: voi indovinate qual è, questo patto.
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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania 1901
pagine 167 |
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