Un gran crocifisso di avorio pendeva da un lato dell'alcova, davanti a un inginocchiatoio di velluto celeste, Leona vi si lasciò cadere prona, chinò il volto sul braccio, e pregò. Non osava domandare nulla al Signore: né che gli rendesse l'amore suo, né che la liberasse; pregava così, per il desiderio, per il bisogno di annegarsi in un affetto sopramondano. La sua anima addolorata e sbigottita errava in mille pensieri di angoscia, di pentimento e di peccato; vane speranze, progetti diversi, memorie care e strazianti la tormentarono per un pezzo: ella cercava di allontanare da sé tutto il suo passato, tutto il suo presente, e pregava. Di quando in quando, ancora, qualche lacrima cocente le cadeva dagli occhi, che le dolevano. Ella pregava; ripeteva delle vecchie orazioni spagnole che aveva imparato, bambina, dalla sua povera madre: delle preghiere per i morti, l'ave Maria, delle giaculatorie, pur che pregasse, pur che si sentisse un po' più distaccata dalla terra, un po' più vicina all'infinito; pur che non sapesse, non comprendesse, non ricordasse più nulla.
Improvvisamente una voce la riscosse:
- Che fai ancora levata a quest'ora?
Ella si rizzò in piedi, e si passò la mano sugli occhi: la luce della candela le faceva male. Disse pianamente:
- Che ora è?
- Sono le quattro e mezzo - rispose il conte Paolo bruscamente. - Perché non sei andata a letto?
Ella non rispose: aveva gli occhi fissi e aperti. Paolo, che aveva perduto al giuoco anche quella notte, esasperato da quel silenzio, riprese:
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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania 1901
pagine 167 |
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Leona Maria Paolo Paolo
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