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      Paolo entrò in via dei Condotti. Sui due marciapiedi, rari viandanti andavano curvi sotto l'ombrello, la schiena saltellante, intabarrati fino alle orecchie. Delle vetture pubbliche di quando in quando uscivano dalle vie laterali, da via Mario dei Fiori, da via Bocca di Leone; si fermavano un istante, attraversavano la strada e sparivano. Il selciato motoso cominciava a diventare assai sdrucciolevole; Paolo si fermava davanti le vetrine a guardare i fiori artificiali, le ceramiche, gli oggetti giapponesi, le stoffe. Entrò da un fioraio e comprò un gran mazzo di fiori sciolti, ancora freschi di guazza, colti la mattina stessa. Poi uscì, e si trovò sul Corso affollato di vetture, di omnibus, di pedoni sotto gli ombrelli che si levavano e si abbassavano in processione, di donne ferme che vendevano cerini e giornali, di carretti, di fattorini che fumavano la pipa, aspettando. Davanti il caffè di Roma, un gruppo di sei o sette signori, fra i quali Paolo riconobbe un deputato autorevole, ingombrava il marciapiedi; egli si fece largo, passò, entrò nel caffè affollato, e andò a sedere al suo solito posto, in fondo, dietro la seconda colonna di destra.
      Mangiò lentamente, senza appetito, consultando ogni momento l'oriolo con un'occhiata fuggitiva. L'aspettazione di quel convegno che Leona gli aveva concesso la sera avanti lo teneva in una irrequietudine nervosa, che egli non riusciva a dominare del tutto. Che cosa gli avrebbe detto, lei? E lui, che cosa le avrebbe detto? Non sapeva, non voleva pensarci; ma aveva la certezza immancabile che lì, davanti a lei, egli avrebbe trovato l'accento, le parole che bisognavano.


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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania
1901 pagine 167

   





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