- Pobrecito mio! - pensava l'innamorata creatura. - Almeno quando dorme non ricorda tutti i sacrifici che gli costa il suo amore per me! Ah, se potessi compensarlo degnamente! Se potessi farlo felice, procurare che non avesse rimpianti!
E, rapida, si infilava le gonnelle, si allacciava il busto, si abbottonava il corpetto, dando, ogni poco, una manata sui capelli per buttarsi indietro le ciocche lunghe che le scendevano sulle ciglia e sulle guance, infastidendola, solleticandola.
Subito che era pronta, cioè vestita e lavata, correva a cercare per casa il vecchio servo:
- Su, su, Nazareno, che è ora di andare!
E tutti e due, Leona e Nazzareno, uscivano a fare la spesa.
Si fermavano qua e là per le botteghe, osservando, contrattando pazientemente con gli insolenti venditori romani, dei quali la maggior parte maltratta la propria clientela con berci e imprecazioni come nel più basso litigio. A Leona, ogni poco, ribolliva il sangue; e un po' nella lingua sua, un po' in italiano avrebbe voluto rispondere per le rime a quei mascalzoni. Ma si reprimeva spesso, tacendo, quasi sempre figurando che non dicessero a lei, tutto per arrivare a portare a casa qualcosa dinanzi a cui, poi a tavola, Paolo non facesse troppo lo svogliato e il disgustato.
Ciò che le costava un vero sforzo era di entrare nei macelli. La compassione per le povere bestie squartate, il puzzo grasso dell'aria, la sudiceria sanguinolenta dei beccai le mettevano addosso un insoffribile ribrezzo. Ciò nonostante, varcava la soglia ributtante, indicava il posto dove voleva che la carne fosse ben tagliata, esaminava il pezzo, discuteva sul peso.
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L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania 1901
pagine 167 |
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Nazareno Leona Nazzareno Leona Paolo
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