Credevate di poter commettere le vostre infamie così, senza un rimorso? Aspetta, che te lo dò io il matrimonio! Aspetto, aspetta, pìcaro!
Il conte Paolo Cappello era già sulla strada, che ella gridava ancora.
Quando Leona, ancora fatta vibrante per quello sfogo, rientrò nella stanza, si buttò a sedere su un divano e, curva sulle ginocchia, la testa fra le mani, si mise a riflettere. A poco a poco la stanza rimase nel buio: i mobili, le stoffe, i vasi, i gingilli di ogni sorta quasi naufragavano, perdendo i colori e i contorni, nell'ombra della sera: solo la finestra aperta si intagliava chiara nel cielo umido e grigio. Delle voci venivano di lontano, languidamente; e, dai bussi fitti della Trinità dei Monti, giungeva, eguale e monotono, il singhiozzo della fontana.
Improvvisamente Leona si riscosse e ordinò a Nazareno di portarle un lume. Aveva nella fronte quella ruga profonda che suole precedere una determinazione troppo rischiosa. Tutta la sera non disse nulla; pranzò in fretta, di malavoglia e quasi sempre distratta, a segno che, non accorgendosi di aver già mangiato la frutta, tornò a domandarla. Poi, rimase a bere del vino e a fare un giuoco di carte, fermandosi ogni tanto a fantasticare, gli occhi istupiditi. Andò a letto ubriaca, e dormì di un sonno di piombo.
Il sole era già alto sull'orizzonte, quando Leona si svegliò e si rizzò a sedere sul letto. Si vide sola; si ricordò; ebbe come una trafittura nel cuore. Balzò fuori del letto; si vestì lentamente; si lavò; si tirò su i capelli: tutto questo incoscientemente, come una mentecatta.
| |
L'innamorata
di Contessa Lara
Giannotta Catania 1901
pagine 167 |
|
|
Paolo Cappello Leona Trinità Monti Leona Nazareno Leona
|