Maria Luisa ci pensò un pezzetto prima di partire, ma non ci fu rimedio. Quindi il dì 11 dicembre diresse un proclama al buon popolo toscano - poiché non ce n'è mai stato un altro che abbia avuto tante volte di buono da tutti come quello toscano - col quale proclama essa lo proscioglieva dal prestato giuramento di fedeltà, sebbene nessuno vi si credesse più obbligato. La reggente però fu l'unica sovrana che molto scortesemente fosse fischiata da alcuni giovinastri, quando fu fuor della porta a San Gallo; il popolo, benché tanto buono, non ne poteva più di tanti sconvolgimenti, e di questo fare e disfare di stranieri, che pareva si dessero la muta, uno mandando via l'altro.
È poi da considerare, che nonostante le mezze difese dei partigiani d'un governo retrogrado e fazioso, Maria Luisa, donna frivola e vana, dilapidò l'erario pubblico in un lusso e in un fasto esagerato.
Dopo la morte del re le male spese non ebbero più freno. Non considerando gli esorbitanti aggravi sopportati dalla misera Toscana in nove anni di occupazioni straniere, i quali assorbirono centosette milioni di lire - cosa quasi incredibile, se non fosse vera - la corte borbonica "montata con lusso parassito" accrebbe a dismisura il dissesto finanziario. "A tutti i momenti, i favoriti e le favorite cortigiane cospiravano a vuotare i regi scrigni." Ed il marchese Corsi, nobile ma incapace ad amministrare la finanza, metteva ogni cura a far sì che la Corte "non penuriasse di danaro erogabile in scioperaggine," aggravando sempre più i disgraziatissimi sudditi, che eran ridotti all'estremo della pazienza.
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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze 1899
pagine 714 |
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