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      Ci vuol altro per governare i popoli, che andare a dormire nei conventi dei frati, desinare coi padri abati, andare a gironzar con le monache, e proibire alle donne i cappelli con le penne!
      Il successivo 12 dicembre, i toscani, liberati da un governo di donnicciuole, di bigotti e di pettegoli, come era stato quello della reggente, salutarono quasi con sollievo il generale Reille che venne in Firenze a nome di Napoleone, a prender possesso dello Stato. E il Senato e i Magistrati, il giorno stesso giurarono daccapo fedeltà a luì, finché non avrebbero dovuto fare altrettanto a un altro che fosse venuto in sua vece. In otto anni, era stato tutto un legger proclami, giurar fedeltà e cantar il Te Deum in Duomo per il regnante che via via i padroni ci davano, e pagar quattrini stando sempre con l'animo rimescolato, che non venisse di peggio.
      E il peggio venne, perché ancora non s'era a nulla.
      I toscani inviarono a Napoleone a Milano una deputazione di ragguardevoli cittadini per esortarlo a dare un assetto definitivo allo Stato, e nello stesso tempo a rispettare questa volta i musei e le gallerie. Si contentasse di guardare e non toccare. Fu tempo e fiato sprecato. Napoleone promise tutto ciò che vollero quegli egregi cittadini; e per riscaldarli anche più, si disse fortunato "che i padri suoi dall'inclita Firenze traessero origine." A queste parole, i deputati toscani gli avrebbero buttate le braccia al collo e lo avrebbero baciato. Ma Napoleone non contento d'averli tanto confusi, fece loro capire che la sua idea costante era di fare un gran regno italico.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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