Il Granduca appariva mestissimo, poiché in quel momento gli tornava certo alla memoria, benché fossero trascorsi dodici anni, la infelice sua moglie morta a Vienna di parto, il 29 settembre 1802, che avendolo confortato nei primi anni del suo esilio, con tutta la soave delicatezza dell'animo suo, non era ora con lui a dividere la gioia del ritorno negli antichi Stati.
Certi ricordi, seppure carissimi, in simili circostanze, hanno tutta l'atrocità d'una pena!
Riposatosi alquanto, e cambiatisi gli abiti da viaggio per vestire il grande uniforme, Ferdinando III prese posto in una muta a sei cavalli "infioccati a gala" in compagnia del maggiordomo maggiore principe Giuseppe Rospigliosi, e del gran ciambellano già senatore Amerigo Antinori.
Seguiva quindi un'altra muta a sei cavalli con quattro ciambellani. La muta del Granduca era scortata da dodici uffiziali del nuovo corpo dei Dragoni, i quali avevano ottenuta quella grazia, e alla portiera cavalcava il maggiore comandante il reggimento medesimo. Dalle fortezze rimbombavano le artiglierie, a cui faceva eco il suono delle campane di tutte le chiese, con universale frastuono.
Alla porta a San Gallo, Ferdinando fu ricevuto dal Gonfaloniere Bartolommei, dai Priori e dal Magistrato civico. Il Gonfaloniere gli presentò le chiavi della città; ed essendosi preparato per fare un "ben inteso discorso" analogo alla circostanza, "tale e tanta fu l'emozione provata da esso e dal Sovrano, che troncata ad ambedue la voce, le sole lacrime di tenerezza del Gonfaloniere e Priori furono l'omaggio reso in nome di tutta la città." Cosicché "il ben inteso discorso" nessuno lo udì, e forse per questo tutti credettero che sarebbe stato un gran bel discorso.
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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze 1899
pagine 714 |
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