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      Perciò esse erano fermamente risolute a mantenere il trattato di Parigi del 30 maggio 1814.
      Erano tutti bei discorsi, ma intanto a Parigi una settimana dopo vi rientrava Napoleone, alla testa delle stesse truppe che il fuggente re gli aveva mandato contro per combatterlo!
      Murat non sapendo che piega potesse prendere la faccenda del cognato, ed impressionato dagli armamenti dell'Austria in Italia, pensò, con poco senno, di giuocar la carta di diventar lui re d'Italia, lusingando il desiderio dei liberali pei quali questo era il loro sogno accarezzato.
      Per conseguenza, il 30 marzo 1815 mandò da Rimini un "magniloquente proclama" in cui affermava che era venuta l'ora nella quale dovevan compirsi gli alti destini d'Italia, poiché "la Provvidenza" che a quanto pare glielo aveva confidato in segretezza "chiamava gli italiani ad essere una nazione indipendente."
      Ed a qual titoloesclamava il gran Giovacchino "popoli stranieri pretendono togliervi questa indipendenza, primo diritto e primo bene d'ogni popolo? A qual titolo signoreggiano essi le vostre contrade? A qual titolo s'appropriano essi le vostre ricchezze per trasportarle in regioni ove non nacquero? A qual titolo, finalmente, vi strappano i figli destinandoli a servire, a languire, a morire lungi dalle tombe degli avi?
      No, no, sgombri dal suolo italico ogni dominio straniero!
      E via di questo passo, come se gli italiani abboccassero ancora a queste buffonate rettoriche, che altro non nascondevano sennonché la convinzione in chi le diceva, di parlare ad un branco di pecore: ma quel branco di pecore aveva imparato a sue spese che tutte le premure di tanti suoi liberatori non erano motivate che dalla paura che altri stranieri prendessero quello che volevano invece prender loro.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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