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      Mai, forse, come allora si facevan supposizioni le più strampalate, e si concepivano speranze e desiderio più contradittorii. Ognuno sperava di guadagnare ad un possibile cambio di governo; ma fortunatamente le sommosse erano soltanto platoniche.
      Murat, che non venne neppure ammesso al Congresso di Vienna come regnante, fu dalle potenze condannato a sbalzare dal trono. Cosicché, vistosi perduto, accettò battaglia a Tolentino colle truppe austriache e toscane spedite nel Napoletano per riporre sul trono Ferdinando IV di Napoli. Murat ebbe la peggio perché non fu secondato "dalle legioni timide e molli, guidate da ufficiali o inabili o traditori."
      I toscani che non si trovarono alla battaglia di Tolentino, perché disposti lungo il confine da Terracina e Ceprano fino a Rieti, si distinsero grandemente "gareggiando d'intrepidezza e bravura coi tedeschi." Deplorevole bravura perché usata contro i propri fratelli. Il loro "piccolo esercito era formato di reduci dalle armate napoleoniche; e quel che più monta era regolato da ufficiali esperimentati alle grandi campagne, di cui gli andati tempi non hanno uguali."
      Il capitano Gherardi di fanteria si distinse all'attacco di Aquila; il capitano dei dragoni Bartolozzi "si diportò valorosamente a Pignattaro" ove si segnalò anche il capitano Banchi, pur de' dragoni. In varie occasioni spiegò singolare valore il capitano Bechi, d'artiglieria, ed i maggiori di fanteria, Casanova e Palagi.
      All'assedio di Gaeta destò l'ammirazione degli stessi avversari, il corpo dei cacciatori, appena appena costituito, comandato da Girolamo Spannocchi.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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