Tutte le provincie essendosi sollevate, fu necessario di fare spiare le truppe, si raddoppiò la guardia al palazzo reale, e pattuglie di soldati perlustravan la città.
Il general Nunziante vista la marina torba scrisse al re esponendogli "l'animo avverso delle sue schiere" e concludeva: "Sire, la costituzione è desiderio universale del vostro popolo, il nostro opporre sarà vano; io prego V. M. di concederla." Come tutti coloro che vogliono dissimularsi i pericoli e che danno soltanto ascolto a chi brucia loro l'incenso sotto il naso, persuasi di lasciarsi illudere perché possa servir ciò di ripiego alla loro cecità, il re rimase sbigottito leggendo le parole del Nunziante del quale però non dubitava.
Mentre egli ed i suoi barcollanti ministri aspettavano ansiosi la mattina del 6, "ultimo tempo prefisso alle trame o al combattere" nuove sventure accaddero con la fuga del generale Guglielmo Pepe: il quale, sapendo d'esser tenuto d'occhio, perché sospetto di tradimento, preferì d'andarsene alla mezzanotte, spingendo alla diserzione un altro reggimento di cavalleria e alcune compagnie di fanteria.
Tutto ciò portò maggiore sgomento nella Corte; e mentre il re consultava i ministri, al tocco di notte si presentarono al palazzo cinque capi carbonari, dicendo alle guardie di dover subito parlare al re "o a qualche grande di Corte."
Il duca d'Ascoli accorse per sentire ciò che volevano quei cinque, rimanendo sorpreso di vedere fra loro il duca Piccoletti, suo genero. Uno di essi gli disse chiaro e tondo che popolo e soldati volevano la costituzione.
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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze 1899
pagine 714 |
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