Risalendo un po' la strada poiché quando le mura si avvicinavano alle porte il piano era in discesa, e continuando per la Porta a Pinti, in faccia al Vicolo della Mattonaia che metteva in Borgo la Croce si scorgeva il grazioso villino Ginori con le due cupolette a squamme gialle e turchine, ed in quel punto delle mura esisteva un vuoto ad arco come una gran nicchia tutta nera, e piena d'una fuliggine lustra come unta. Quello era il luogo dove i verniciatori, i mesticatori e i legnaioli, andavano a far le vernici, poiché non era permesso di farle in città, a causa dei frequenti casi in cui scoppiavano i matracci, e che potevano esser causa d'incendi.
In cotesta località, quasi deserta e fuori di mano, andavan pure i carradori a piegare i cerchioni delle ruote dei barrocci e dei carri; operazione che si faceva con sistemi molto primitivi, poiché facevano in terra un gran cerchio di grandi scheggie fatte coll'ascia nel modellare il legname, e vi mettevano sopra i cerchioni, che con delle grosse morse piegavano quando il ferro era rosso.
Dopo si trovava la Porta a Pinti la quale venne demolita insieme alle mura, per comodità della linea dei viali e per non sopprimere il piccolo e grazioso Cimitero detto "degli Inglesi." La Porta a Pinti era opera essa pure di Arnolfo, ed ebbe forse miglior sorte ad esser distrutta, anzi che rimanere per l'oggetto a cui servono le altre.
Fino alla Porta a San Gallo col suo loggiato esterno che serviva di corpo di guardia, non c'era altro di notevole; ma a pochi passi dalla porta sorgeva elegante e curiosa per la bizzarra struttura la Torre del Maglio, demolita essa pure con l'abbattimento delle mura, e chiamata anche l'acquedotto, perché di lì si diramava l'acqua di Pratolino che a quei tempi era tenuta in conto più dell'acqua benedetta.
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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze 1899
pagine 714 |
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