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      Il fa-servizi annunziava dunque allo scocco dell' un'ora, la chiusura della porta dando tre colpi col martello che v'era infisso. A quel segnale, coloro che erano fuor della città e volevano tornarvi, facevano delle corse incredibili, e ne uscivano con la lingua fuori per essere in tempo a passare, non essendovi che cinque minuti di comporto, decorsi i quali la porta si chiudeva e veniva calato il rastrello. Dopo l' un'ora, chi voleva entrare in città bisognava che bussasse all'usciolino basso, praticato nella porta, e pagasse una crazia - sette centesimi - a titolo di pedaggio. Quest' usanza, che era biasimata da tutti i cittadini poiché si trovavano considerati come altrettante bestie da gabella, fu la prima ad essere abolita dal Governo provvisorio del 1848, che ne ebbe il plauso universale.
      Le Porte che si chiudevano assolutamente senza poter passare nemmeno dall'usciolino, eran quelle di Pinti, San Giorgio, San Miniato, la porticciòla del Prato - detta anche porta a Sardigna - e la porticciòla di Piazza delle Travi, allo scalo in Arno. Ma qui coloro che avevan fatto tardi non si sgomentavano, perché scavalcavano dalle sponde e chi s'è visto s'è visto !
      Le chiavi di queste porte ogni sera alle ventiquattro, ossia all'Ave Maria, eran ritirate da uno dei quattro soldati, chiamati volanti che montavano alla Gran Guardia con questo solo incarico. Ogni soldato era accompagnato dal veterano, che, come abbiamo rilevato in uno dei precedenti capitoli, con marziale serietà metteva da sé le chiavi nella bolgetta di cuoio che il soldato teneva a tracolla insieme con la giberna; e quando tornava al Comando di Piazza le consegnava al Comandante.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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