C'eran quelli co' panieri de' dolci a forma di nicchia, fatti di tritello e miele, che s'empivano d'una specie d'acqua sudicia, battezzata pomposamente per rosolio, la maggior ghiottoneria dei ragazzi che andavano a nozze quando sentivan gridare: "Un quattrin mangiare e bere senza mettersi a sedere."
Ad ognuno di quei banchi, o casotti, o carri, c'era sempre una folla di garzoni di bottega; e spesso si vedeva apparire qualche maestro, che con uno scappellotto ed una pedata simultanea, a colpo fisso quanto sicuro, prendeva per un orecchio lo smemorato ragazzo e lo riportava a bottega.
Sotto il tetto della Posta dov'è ora il Palazzo Lavison, che si chiamava "il tetto dei pisani" - perché fatto costruire dalla Repubblica ai prigionieri della guerra di Pisa nel 1364 - cerano alcuni banchetti di venditori di cinti erniari, detti brachierai, i quali, specialmente nei giorni di mercato, facevano affari d'oro imbrogliando co' baratti, que' contadini che si lasciavano imbecherare ch'era un piacere. Erano notevoli anche i postini di campagna, che venivano a prendere le lettere; e si riconoscevano dalla tuba, dai calzoni corti e la bolgetta a tracolla.
Fra tutta quella gente giravano e si fermavano qua e là i ciechi, che cantavano sulla chitarra, o sonatori d'arpa e di violini, che aumentavano il baccano e la confusione.
Ma più aspetto di fiera, la Piazza del Granduca lo prendeva il martedì e il venerdì, giorni di mercato. Allora poi, per chi non aveva nulla da fare, era un divertimento davvero.
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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze 1899
pagine 714 |
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Posta Palazzo Lavison Repubblica Pisa Piazza Granduca
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