Anche non volendo, l'intelligente e l'artista bisognava che si fermasse ammirato dinanzi a un tabernacolo le cui linee purissime armonizzavano col bassorilievo di Donatello o di Benedetto da Maiano o d'una terra dei Della Robbia che v'era dentro: oppure dal lampione di ferro battuto, ricco di fregi e di foglie, come fosse d'una materia più delicata e meno difficile a lavorarsi. E questi tesori, questi esempi rari dell'arte fiorentina eran sulle facciate di povere case, o anche di postriboli e nei chiassoli di gente di malavita, ma non costituivano più un insieme artistico, come quello che ci si poteva immaginare, degli avanzi rimasti; quindi, l'aver demolito in servigio dell'igiene tante catapecchie malsane e tanti luridi vicoli, non è stata un'ingiuria né all'arte né alla storia; poiché, invece, da quelle demolizioni sono venute fuori pitture murali, stemmi e decorazioni occultate e da tutti ignorate, perché nascoste da intonachi o celate dall'imbiancature, e che saranno di giovamento grande agli studiosi e agli artisti.
Ammirabile straordinariamente era l'architettura severa medievale di certe case, delle quali si conservavano intatte le piccole porte a sesto acuto, le fìnestre e le terrazze, con le facciate tutte di filaretto lavorate e connesse come un mosaico, in modo che fra bozza e bozza non ci sarebbe passato un filo, e che ora, molti di questi esemplari sono stati raccolti a cura del Comune nel Museo di San Marco, e quelli dell'epoca romana nel Museo archeologico.
In Mercato Vecchio, ciò che fermava subito l'occhio era il Ghetto.
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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze 1899
pagine 714 |
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