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      Nelle famiglie era osservata una parsimonia, una regola, un'economia che spesso si tacciò di grettezza e di avarizia, mentre non era che l'amore dell'ordine, e una contrarietà spiccatissima di farsi scorgere spendendo più del dovere, e non aver poi da pagare. Si lesinava piuttosto sul desinare, purché andando fuori si fosse vestiti bene, giacché ognuno ambiva di sembrare da più di quello che era. Nelle passeggiate festive, nei pubblici ritrovi, non si vedeva la folla stracciona e miserabile di altre città: eran tutti vestiti puliti, molti discretamente, diversi bene addirittura. Si vedeva la folla d'una città civile e ben educata, poiché l'ambizione di comparire in pubblico vestiti decentemente non è che un segno di civiltà e di educazione. La differenza fra ricchi e poveri era molto meno marcata di quello che non fosse altrove. Per questo, Firenze fu portata come modello.
      In altri luoghi si vedono i popolani e gli operai che ostentano la libertà e l'eguaglianza, andare con la giacchetta, la blouse e la pipa nei passeggi e nei caffè dove vanno quelli del medio ceto, o borghesi come si dice ora. A Firenze andavano, e vanno ancora, gli operai e la gente dell'infima plebe negli stessi locali praticati dai signori e dal ceto di mezzo; ma appunto per un sentimento d'orgoglio e di eguaglianza vera, si vestono meglio che possono per non far notare la distanza fra essi e loro, perché i fiorentini hanno sempre sdegnato di portar la livrea della miseria, che altrove si porta con ostentazione di protesta.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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