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      Ci sarebbe da farlo ora!
      Nell'estate, quand'eran circa le sei - oggi si direbbe le diciotto - si usava fare la merenda, e alle otto, cioè alle venti, che a Firenze suonava le ventiquattro - ora italiana - ossia l'Avemmaria della sera, si chiudeva.
      Quest' usanza più che altri l'avevano i calzolai, i sarti, i legnaioli, i marmisti, i tappezzieri e mestieranti simili.
      Le botteghe di fondaco, di merceria, di setaiolo, e altre più di lusso, non si chiudevano fino alla sera; con l'usanza però sempre di far la chiacchierata coi vicini quando c'era meno da fare, per essere al corrente di tutte le novità. Il sabato sera il principale dava il salario ai lavoranti, e fino al lunedì non si riapriva; perché se qualcuno avesse aperto la bottega in giorno di festa per far la più piccola cosa, gli veniva subito fatta la cattura dai birri, ed era costretto a pagare una multa. Se poi era recidivo lo mandavano anche in carcere.
      I Caffè si chiudevano la sera alle undici; e soltanto il Bottegone sul Canto di Via de' Martelli in Piazza del Duomo, del quale era proprietario Fortunato Carobbi, aveva il permesso di stare aperto fino alle due di notte "per comodo dei signori che uscivan dal teatro."
      Il Caffè Doney era il principale di Firenze, e anco quello di Wital in Via Por Santa Maria, chiuso dopo il 1880, non era fra i secondari di certo. Sempre nella stessa strada si trovava il Caffè Elvetico, e l'Elvetichino era in Piazza del Duomo. Gli altri Caffè più frequentati e di una certa fama, erano il Caffè Landini in Via del Proconsolo, il Caffè Bellocci e il Leon d'Etruria di Vincenzo Galanti in via Calzaioli, quello della Vacca dei fratelli Boni in Via dell'Oche, del Giappone in Piazza del Granduca, dell'Orlandini in Via della Ninna e il Caffè dell'Arco demolito presso il Ponte Santa Trinita.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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