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      In quei crocchi di donnaccole era rarissimo che si sentisse dir bene di qualcuno: non si faceva, come suol dirsi, che tagliar la giubba addosso al prossimo, che era un piacere. Ma non c'era malignità: era piuttosto un bisogno di canzonare, d'occuparsi de' fatti degli altri innato nella plebe, e.... se si deve dir come va detta, anche più in su.
      Quando era l'ora che tornavano i mariti, alcune di quelle donne che stavano a terreno mettevano fuori un tavolino e si sedevano a cena, unendosi con altri vicini e poi facevan conversazione. Il più delle volte però, taluno fra i più istrutti si metteva a cantar di poesia, facendo così, spoetando, l'ora di andare a letto, ciò che era un gran dispiacere per i crocchi che s'eran formati attorno ai varii poeti, che talvolta senza parere si mettevano in canzonatura l'un con l'altro, parafrasandosi la poesia ed improvvisando rime strane e spesso sguaiate, che suscitavano le più grandi risa. Questa era la vita che menava, press'a poco, il basso popolo, vita invidiata dalla gente più facoltosa, perché quelli avevano una salute di ferro, e de' pensieri se ne prendevano meno che era possibile.
      Era in voga giust'appunto tra i popolani il dettato, che "i debiti vecchi non si pagano, e i nuovi si fanno invecchiare." Così eran contenti come pasque!
      Il ceto di mezzo andava di consueto a prendere il fresco passeggiando per il Lungarno: e molti. come oggi si anderebbe a un caffè, si mettevano a sedere su certe panche di legno con la spalliera lungo le due spallette del Ponte Santa Trinita pagando una crazia a testa.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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