Appena che uno si era seduto non c'era caso che se la potesse sgabellare non pagando nulla, perché se faceva da scordato lui, non lo faceva il pancaio; il quale, appena lo allumava gli andava dinanzi con la mano tesa dicendo: - Signori, il pancaio! I più facoltosi, fra costoro, specialmente le feste, andavano invece a prendere il sorbetto al Caffè dell'Arco demolito sull'angolo del palazzo Ferroni, così chiamato in memoria dell'Arco di Santa Trinita buttato giù. Cotesto caffè era il ritrovo elegante nell'estate, e si mettevano i tavolini fuori tanto dalla parte del Lungarno che da Via Tornabuoni.
La semplicità della vita fiorentina non era soltanto nel popolo, ma sibbene anche nella nobiltà e alla Corte. Per darne un esempio, gli impiegati e i servitori del Granduca parlando tra loro non dicevano a ogni parola, Sua Altezza; ma dicevano, il padrone: e siccome il sarto di Leopoldo II era Francesco Piacenti, che aveva bottega in Via Vacchereccia, così il cavalier Nasi, e poi il signor Paglianti, addetti alla casa del Granduca, quando andavano per suo ordine da lui, gli dicevano: - Sor Francesco, la passi dal padrone perché ha bisogno di lavoro. - E per il solito, il lavoro era qualche abito nero; perché la specialità del Granduca era quella di portare continuamente la giubba con le fodere di seta bianca.
Il Piacenti vestiva pure la servitù, i camerazzi, i cantinieri, il capo degli argenti, gli staffieri e i lacché. Dal capo andava alla coda!
Anche nella nobiltà si usava trattare affabilmente la servitù, dalla quale, bisogna pur dirlo, i signori eran però ricambiati con un affetto e con un attaccamento esemplare, che oggi non si sogna nemmeno, perché la riconoscenza sembra un avvilimento.
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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze 1899
pagine 714 |
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