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      Le due principesse, senza boria e senza pompa, si recavano ai letti dei malati, li confortavano con amore, li esortavano affettuosamente ad aver coraggio e fede, e lasciavano loro cinque o dieci paoli ogni volta, che facevano più effetto delle parole.
      Quella era la vera carità regale, senza ostentazione, non facendo annunziare ai quattro venti come una cosa d'esagerata degnazione il bacio dato a un bambino, o un'elemosina a un povero diavolo.
      Ed il popolo con tali esempi si ingentiliva e si educava nella pietà e nel vero amor fraterno.
      Tutte le domeniche usava che i gíovanetti della Compagnia di San Filippo Neri - detti sanfirenzini - di quella de' Vanchetoni e di altre, andassero anch'essi allo Spedale di Santa Maria Nuova divisi in tante squadre comandate da uno che era chiamato il maestro, a portare il sale ai malati, perché lo Spedale allora non lo passava!... Ogni maestro aveva nello spedale un armadio a muro, dove dentro c'erano i grembiuli bianchi e i bussolotti del sale, che i giovanotti si legavano a cintola sopra il grembiule. Ad ogni ragazzo si assegnavano dieci o dodici malati a cui doveva dare il sale per il lesso; e agli impotenti dovevan far la carità d'imboccarli.
      Alcuni poveretti dicevano a quei ragazzi balbettando per chieder loro ancora del sale: - Un altro pochino, un altro pochino.
      D'estate, il giorno dopo vespro, i sanfirenzini andavano per squadre di dodici o quindici al Monte alle Croci, sul prato che c'era, ed al quale si accedeva da un usciolino a mezza salita, dove ora è il giardino delle rose, e quivi giuocavano a palla, all'altalena, o facevano i soldati.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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