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      E non eran quattr'anni ch'era stato sposo!
      Cosicché, queste due befanate che andarono a finir male, diventaron famose; e servirono di ammaestramento per l'avvenire. Poi, siccome l'indole del popolo fiorentino è stata sempre buona, tali sconci non si rinnovarono, e si continuò per un pezzo a portar le befane a spasso per la città, in mezzo alle torce, e fra le risate, gli schiamazzi e gli strilli delle trombe di vetro.
      La vera festa della Befana non solo consisteva nel portare a spasso per la città i fantocci, ma nel mettere alle finestre delle case certe "fantocce che befane s'appellano" dice il Fagiuoli in una sua cicalata inedita, da lui detta nel 1724 la mattina di Berlingaccio in casa Viviani. C'era, a quanto sembra, una specie di gara nel far quei fantocci più belli e che paressero più veri; poiché il citato Fagiuoli racconta di averne veduta una, che destava la comune ammirazione, "la quale aveva nel collo una molla a cui era legato uno spago nascosto dalle vesti, e che tirandolo faceva fare alla befana un grazioso saluto del capo a chi dalla strada stava rivolto verso di lei per guardarla."
      Il Fagiuoli pare che avesse della ruggine con qualche dama del suo tempo, perché prendendo pretesto da quella befanetta che faceva gli inchini ai passanti, esclama con una certa indignazione: "Onde io considerai che così bisognerebbe fare ad alcune nostre superbe Pasquelle incivili, che senza alcun segno di gradimento, su impalate in guisa tale si stanno, quasi che avessero nelle parti deretane - Dio ci liberi!


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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