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      Essi, mescolandosi tra la folla, figurando di giuocare tiravano pallonate a tutt'andare alle persone che s'imbattevano in loro, le quali rimanevan senza fiato. Più che altro però, cercavan di mettere i palloni nelle botteghe dei fondachi e dei mercanti di seterie, per costringerli a chiudere e mandare i garzoni a divertirsi e a far carnevale anche loro. E fin che la faccenda rimase in questi limiti, il popolo ne rideva, specialmente quando in Mercato Vecchio mettevano qualche pallone in bottega d'un ferravecchio, che faceva venir di sotto padelle, treppiedi, paioli e bricchi, con un fracasso assordante.
      L'effetto, com'è facile a credersi, era sempre raggiunto; poiché con quella razza d'avvisi, tutti s'affrettavano a chiudere le botteghe, per non aver danni maggiori dell'avviso ricevuto.
      Ma la cosa, col tempo, eccedé in modo, che più d'una volta suscitarono dei veri tumulti.
      Quando il cattivo esempio viene dall'alto non c'è da rimproverare il popolo se poi, come suol dirsi, dandogli un dito prende tutta la mano, e anche il braccio. Infatti, quando nei giorni di carnevale pioveva, andavano nonostante varie brigate di maschere per la città, ed in Mercato Nuovo ed in Vacchereccia facendo al pallone; e raccogliendo poi i palloni tutti fradici e inzuppati nella mota, li tiravano sulle stoffe e sui drappi, dei fondachi, rovinando e sciupando una quantità di drappi con danno rilevantissimo dei mercanti. Di qui nascevano liti e questioni infinite, anche con le persone che non eran risparmiate dalle pallonate motose, e che rimanevano bollate ch'era un piacere.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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