Ma il pastore che si trovava dinanzi tutta quella quantità di penitenti sveltocce, che lo guardavan sorridendo sotto i baffi e con certi occhi da fargli perder la bussola, durava una gran fatica a non uscir dall'argomento; e quando aveva fatto tanto di vincersi, allora tutti i fulmini dell'eloquenza, tutte le minaccie di perdizione dell'anima, eran scagliate a piene mani sullo strano e singolare uditorio, che lì per lì rimaneva un po' scosso; ma poi, uscito di là, faceva come i cani: scoteva le pastorali e le evangeliche busse, e se non tornava a far peggio di prima, meglio non faceva di certo!
Il giovedì santo era il giorno che più di tutti aveva un'impronta spiccata: era un misto di devozione, di divertimento e di festa. I Principi andavano a piedi separatamente a far la visita delle chiese, esempio questo di umiltà seguìto pure dai nobili, ché essi pure si recavano a visitare le chiese a piedi. Era quello il solo giorno dell'anno in cui non si vedeva una carrozza in tutta Firenze. La mattina del giovedì santo, i granduchi Medicei si tramandaron l'uso di recarsi alle dieci e mezzo alla basilica di San Lorenzo, dove si faceva la solenne funzione della comunione tanto del Granduca, che dei cavalieri di Santo Stefano residenti in Firenze, e che dal più al meno erano in numero di centocinquanta. La navata di mezzo della chiesa era chiusa da panche con una panchina più bassa per inginocchiatoio, tutte coperte d'arazzo. Verso l'altar maggiore c'era il posto per il Granduca che stava sotto la residenza, una specie di quella che hanno i vescovi nelle cattedrali.
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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze 1899
pagine 714 |
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