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      Prima di tutto comincia dall'affermare che la grave demoralizzazione dipendeva dal clero, troppo numeroso, generalmente non dotto né morigerato: "Il Clero non ha studi né occupazioni utili: i frati non istruiscono né sé, né gli altri. Reclutati dalle classi infime della popolazione, e fra gli individui o più incapaci o più oziosi, non portano nel chiostro né le disposizioni per esser buoni per sé, né quelle per esser utili agli altri."
      Fra i preti eran pochi quelli mediocremente istruiti nei seminarii; gli altri passati a malapena agli esami, conseguivano l'ordine sacro "per avere un mezzo a provvedersi la sussistenza, avvilendo l'augusto ministero." Le feste e i riti moltiplicati per fine di guadagno, portavano che "la pratica delle virtù evangeliche trascurate dai sacerdoti eran più trascurate dai laici."
      Prendendo poi in esame gli impiegati, la petizione diceva che questi per mancanza di regolari studi erano insufficienti e intriganti. "Non è possibile buona amministrazione con una turba di persone che non aiuta con l'opera, che non sorregge con la condotta e che dissesta con le provvisioni." Parole roventi ma giuste. Ed alludendo al fatto vergognoso che la polizia, composta di sbirraglia vilissima, perseguitava i liberali per ingrazionirsi con l'autorità, fino al punto di sfrattare alcuni eminenti emigrati politici, e perfino Massimo d'Azeglio perché aveva pubblicato nel 1846 l'opuscolo intitolato Degli ultimi casi della Romagna, la petizione così dipinge quei poliziotti:
      Senza la guida della scienza la più difficile, com'è quella delle opinioni e dei bisogni morali e intellettuali, attingendo alle fonti più impure e più infide, perché reiette dal consorzio civile - le spie - educati alla scuola dei vizi volgari e de' delitti più odiosi, non sanno vedere nell'uomo che il male, e il nemico del governo nel cittadino.


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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze
1899 pagine 714

   





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