Queste perciò erano le ragioni che mossero i due egregi cittadini a farsi avanti ed anteporsi rispettosamente al Governo presso il Principe, affinché egli non si lasciasse sfuggire l'occasione di costituire uno Stato conforme ai nuovi tempi.
Ma l'influenza straniera che aveva per suoi istrumenti maggiori il Pauer e l'Hombourg tennero irresoluto il Granduca che non sapeva volere né disvolere. Così passò un tempo prezioso, e la petizione del Ricasoli e del Salvagnoli rimase nella Segreteria di Stato come documento di lealtà di cittadini amanti della patria, e di insipienza del principe.
Gli avvenimenti però gli vinsero la mano. Da Roma il fanatismo per Pio IX si ripercuoteva in Firenze, e il fermento si faceva ogni giorno più serio. Tanto è vero che il Granduca, per consiglio del Cempini, mandò il 21 luglio un proclama ai "buoni e fedeli toscani" esortandoli con dolci parole ad aspettare con calma "la maturazione" delle riforme, che fu costretto a promettere.
Intanto il ministro Pauer il 31 dello stesso mese "ingiungeva alla vecchia Consulta di concertare col Presidente del Buon Governo e col R. Procurator Generale, i mezzi per reprimere i torbidi che sempre più pullulavano: Ma non ne cavò alcun frutto." E gli stette il dovere!
Il Governo toscano aveva sperato che con l'annunzio di prossime riforme, la calma sarebbe tornata nell'animo dei fiorentini, nei quali si era trasfuso "il parossismo febbrile politico" a tal segno, che le concessioni venivano risguardate come semplici atti di dovere e nulla più.
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Firenze vecchia.
Storia cronaca anedottica costumi (1799-1859)
di Giuseppe Conti
Bemporad Firenze 1899
pagine 714 |
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