In ogni caso adunque il lavoro iniziale da noi eseguito non andrebbe perduto, ma si ritroverebbe in qualunque istante sotto forma di energia cinetica e potenziale del corpo.
Che se il corpo nel suo movimento incontrasse non attrito, ma per esempio una molla deformabile, il nostro lavoro non sarebbe neanche perduto, ma si trasformerebbe in energia potenziale della molla deformata; questa ci restituirà, nel distendersi, il lavoro assorbito. Avremmo così una serie indefinita, molteplice di scambi che lascerebbe inalterato il lavoro primitivo da noi compiuto.
A questa descrizione di fenomeni ideali non corrisponde per nulla la realtà, poichè la presenza delle resistenze passive, e la mancanza di corpi perfettamente elastici fan progressivamente diminuire l’ammontare iniziale dell’energia disponibile, e alla fine di un certo tempo più o meno lungo noi troveremo che il lavoro primitivo è sparito, poichè avremo il corpo al suolo, in quiete, e la molla indeformata; non ritroveremo più, cioè, nè energia di posizione nè energia cinetica.
Un esame più attento dello stato delle cose ci persuaderà però che se dell’energia è sparita, qualche altra cosa è comparsa. In tutti i casi, invero, in cui del lavoro sparisce per causa di attriti o di imperfezioni elastiche dei corpi, si trova che in essi si è sviluppato calore. Noi studieremo più attentamente in seguito questo fenomeno: per ora ci basti dire che il calore prodotto è in misura del lavoro sparito. E siccome in altri casi del calore può sparire, mentre del lavoro si manifesta, e si trova la stessa corrispondenza numerica tra il calore sparito e il lavoro prodotto, noi possiamo far rientrare i fenomeni reali nella descrizione ideale surriferita, nella quale c’era conservazione del lavoro primitivo disponibile, purchè alle forme menzionate di energia se ne aggiunga una nuova, l’energia termica, suscettibile di trasformazioni reciproche con l’energia meccanica.
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