Il problema è reso più facile dal fatto, rivelato dalla esperienza, che mentre la fase dei suoni componenti influisce sulla forma della vibrazione risultante, non ha invece alcun effetto sull’impressione che riceve il nostro orecchio, e quindi sul timbro del suono. Così la vibrazione C (fig. 96) risulta dalia composizione di A e di B, di cui la seconda è l’ottava della prima con differenza di fase zero all’origine; mentre la vibrazione E risulta dalle componenti A e D, di cui la D è dello stesso periodo di B, ma con la fase spostata (all’origine) di ¼. Orbene: le vibrazioni C e E sono di forma ben diversa, ma non vi corrisponde, secondo Helmholtz, alcuna differenza di timbro.
L’orecchio non ha la semplice funzione di decomporre le onde sonore incidenti nelle rispettive onde sinusoidali o nei corrispondenti suoni semplici. Se così fosse al suono di una corda di violino corrisponderebbe la sua decomposizione negli armonici, e non l’impressione sintetica che ci fa riconoscere quel suono da quello di eguale altezza emesso, per esempio, da un flauto. Ma l’orecchio è purtuttavia dotato di potere risolutivo, poichè nella farragine di suoni che vi arrivano da ogni parte, fondendosi in un complesso sistema di onde sonore, noi sappiamo distinguere a occhi chiusi i suoni provenienti da diverse sorgenti. La spiegazione di questa meravigliosa proprietà dell’orecchio, che è insieme analitica e sintetica, entra nel campo della psicologia; ma è necessario avvertire che le spiegazioni più comuni non sono del tutto soddisfacenti.
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Helmholtz
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