Teoria meccanica e sorgenti del calore.
11. Trasformazione reciproca del lavoro meccanico e del calore. - Abbiamo visto nella Meccanica (vol. 1° § 55) che l’energia meccanica può talvolta sparire per urti, attriti, imperfezioni elastiche dei corpi, e che in tali casi si manifesta lo sviluppo di una certa quantità di calore.
Una delle più antiche osservazioni in proposito si deve al Rumford, il quale sorpreso della quantità enorme di calore sviluppantesi nei lavori di trapanatura dei cannoni, e che permetteva di portare ben presto all’ebollizione una rilevante quantità d’acqua, ebbe per primo l’idea, forse presentatasi confusamente anche ad altri, che il lavoro meccanico impiegato nel vincere l’attrito si trasformasse direttamente in calore.
Le idee di Rumford si andarono precisando e concretando nella prima metà del 1800, a misura che si andò sempre meglio assodando che a una determinata quantità di lavoro meccanico, che si trasformi in calore per urti o per attriti di qualsiasi specie, corrisponde la produzione di una costante quantità di calore, e specialmente quando si potè dimostrare che anche la trasformazione inversa può aver luogo, e che perciò del calore può esser distrutto, producendosi una corrispondente quantità di lavoro meccanico.
La vecchia idea che il calore fosse un fluido speciale trasmissibile da un corpo a un altro annebbiò per molto tempo gli spiriti; e la lentezza con cui le nuove idee sulla immaterialità del calore s’imposero non fa invero molto onore alla perspicacia e all’ingegno umano; ma la scienza se ne rifece entro lo stesso secolo, per opera specialmente di Mayer, Hirn, Joule, Helmholtz, Clausius, e poi di Boltzmann, Lord Kelvin, Gibbs, Planck e tanti altri, i quali edificarono la Termodinamica, le cui leggi dominano i fenomeni naturali più disparati, e che costituisce lo strumento più sicuro e possente che abbia a disposizione la moderna Filosofia Naturale.
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