In realtà nelle migliori macchine a vapore si deve impiegare circa 1 Kg. di carbone per ottenere un cavallo-vapore di potenza durante un’ora, cioè 3600 x 75 = 270000 chilogrammetri; eppure le 8000 grandi calorie svolte dalla combustione avrebbero dovuto fornire, per la loro integrale trasformazione in lavoro, 8000 x 427 = 3.416.000 Kgm. Adunque il rendimento effettivo non supera l’8%.
La differenza tra il rendimento teorico e il rendimento effettivo è dovuta alle inevitabili imperfezioni della macchina, quali la incompleta utilizzazione del calore nel fornello, il raffreddamento del vapore nelle tubulature e nel cilindro, l’incompleta espansione, ecc. E quando si pensi che, per es., nei motori elettrici si riesce a trasformare in energia meccanica fino al 92% dell’energia elettrica impiegata, bisogna concludere che la macchina a vapore, per le esigenze del 2° principio della termodinamica, e per le imperfezioni pratiche, non si presenta bene al confronto. La colpa è da attribuire non all’opera dell’uomo, che per una serie di trasformazioni durata un secolo ha fatto della macchina a vapore il più ammirevole dei meccanismi, ma all’energia termica utilizzata che, come abbiamo detto, è di cattiva qualità, nel senso che si presta poco alle trasformazioni.
È appunto per la grande complicazione dei particolari costruttivi della macchina a vapore che noi ci asteniamo dal darne la descrizione dettagliata; limitandoci solo a dire che le manovre di scambio delle comunicazioni del cilindro sono affidate alla stessa macchina per mezzo del cassetto di distribuzione, o di altri dispositivi; e che talvolta manca il refrigerante R, e il vapore, dopo compiuto il lavoro, passa direttamente dal cilindro all’aria libera.
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