In un bicchiere contenente acqua acidulata con acido solforico sono immerse due lamine, una di rame e l’altra di zinco. Rilegando le due lamine con un filo conduttore, esso viene percorso da una corrente che è incomparabilmente più intensa di quella ottenibile con la più potente macchina elettrostatica conosciuta. L’origine dell’energia elettrica prodotta va ricercata nell’energia chimica di combinazione dello zinco con l’acido solforico: effettivamente mentre la pila funziona parte dello zinco si scioglie nel liquido, formando solfato di zinco; e l’energia sviluppata da questa reazione esotermica si converte parte in calore entro la pila, e per il resto in energia elettrica disponibile nel filo che rilega le lamine, ove essa si trasforma pure in calore, se non è impiegata ad altro ufficio per l’interposizione d’un ricevitore che la trasformi in altra specie d’energia.
La spiegazione d’un apparecchio così semplice e così meraviglioso come la pila, o meglio la ricerca del meccanismo con cui ha luogo la produzione di una differenza di potenziale ai suoi estremi, fu già elaborata dal Volta, ed ha formato oggetto di una secolare controversia tra i Fisici più illustri, i quali hanno portato in campo delle considerazioni troppo strettamente connesse con i molteplici effetti della corrente elettrica, da noi non ancora esposti, e perciò non riferibili in questo punto del nostro studio. Secondo il Volta, e molti altri eminentissimi elettricisti fino al celebre Lord Kelvin, la differenza di potenziale osservabile agli estremi di una pila, e che è all’incirca di 1 volta, si produrrebbe nel posto del contatto tra i due metalli diversi che la costituiscono; e precisamente al contatto, esterno alla pila, tra zinco e rame.
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