Egli ebbe l’idea felice di ricorrere, come elettrodi, a due lamine di piombo di grande superficie; per il passaggio della corrente diretta, detta corrente di carica, l’idrogeno si sviluppa a una delle lamine, e l’ossigeno si combina con l’altra formando del biossido di piombo; per una nuova corrente in senso inverso, nel senso di quella che l’apparecchio tende a dare come corrente di scarica, il biossido di piombo formatosi in antecedenza si combina con l’idrogeno che ora vi sviluppa la corrente, e dà luogo a del piombo metallico, molto più poroso della lamina primitiva, mentre l’altra lamina si ricopre alla sua volta di biossido di piombo. Così, con una successione di cariche in un senso e in senso opposto, si determina la trasformazione delle due lamine compatte di piombo in lamine ricoperte da uno spesso strato di piombo spugnoso, il quale permette che nella corrente diretta si accumuli in una di esse una più grande quantità di ossigeno, e che nella corrente inversa sia utilizzata, per ridurre la lamina, una maggior quantità di idrogeno. Effettivamente sarebbe inutile proseguire l’azione delle due correnti quando i gas sviluppati non trovano il posto ove fissarsi, e si svolgono liberamente dal liquido. Or appunto con questo processo si verifica che nelle successive cariche e scariche è richiesto un tempo più lungo perchè i gas si sprigionino, e quindi ogni volta l’apparecchio condensa una quantità di gas maggiore, e accumula una maggiore quantità di energia. Si esprime questo fatto dicendo che la capacità dell’accumulatore, piccolissima in principio, si va accrescendo nelle successive cariche e scariche, e che l’accumulatore con tale processo si va formando.
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