L’enorme calore svolto dalla corrente volatilizza tra le punte il carbone, e l’atmosfera di vapori così formata mantiene il passaggio della corrente, malgrado le punte non siano in contatto.
Per avere un arco duraturo è necessario andar avvicinando i carboni, allo scopo di compensare il loro consumo, abbastanza rapido in un gas come l’aria che li brucia. Le punte dei due carboni acquistano, dopo un certo tempo, degli aspetti notevolmente differenti (fig. 170); il carbone positivo, cioè quello rilegato al polo positivo del circuito, presenta come una cavità più o meno profonda e di forma irregolare, che prende il nome di cratere, mentre sul carbone negativo si produce come una prominenza appuntita, più o meno arrotondata. Tra le due punte si produce il vero arco, leggermente violaceo, e per conto proprio poco luminoso. Invece è più luminosa la punta negativa, luminosissimo, addirittura abbagliante, il cratere positivo, da cui emana la quasi totalità della luce dell’arco (l’85 per cento).
Parimenti, quando i due carboni sono della stessa qualità e di uguali dimensioni, il consumo del carbone positivo, per la volatizzazione e per la sua combustione, è circa doppio di quello del negativo.
La luce dell’arco elettrico presenta uno spettro continuo, solcato da alcune linee brillanti dovute al carbonio e ad alcune impurezze dei carboni stessi. In esso l’intensità delle radiazioni più rifrangibili è assai più grande che con qualunque altra sorgente terrestre; cosicchè tale luce è particolarmente adatta alla fotografia.
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