Oh benedetta, miseri innocenti,
La pubblica pietà che vi ricovraNudi, piangenti, abbandonati! A voi
Il casto grembo della cara madre.
E del tetto paterno il santo asilo,
Che dà l'essere intero, e dolcementeL'animo leva a dignità di vita,
Error, vergogna delitto e miseriaChiuse per sempre! Crescerete soli,
Soli all'affetto e mal securi in terra;
Al disonor di genitori ignoti,
Come la pianta che non ha radice,
Maledicendo.......
Poveretti, quant'era meglio per essi il non nascere!
I lôcch nel 1874.
Ecco i pensieri che ci frullavano nella mente nel 1874 studiando quella parte della popolazione di Milano negletta e pericolosa che con vocabolo gergale viene chiamata dei lôcch.
Son pochi i caffè, le osterie e le bettole, tra i 2000 esercizii pubblici, di cui è disseminata Milano, in cui il plebeo non si periti di presentarsi, anzi quand'egli entra in un caffè di lusso in compagnia di qualche femmina da trivio, incede risoluto e con aria di sfida, e tutto si ringalluzzisce se giunge ad attrarre dai frequentatori gli sguardi, benevoli o malevoli, a lui poco importa. Ma la bettola è il regno, del lôcch; quivi ascolta i poco melodiosi, ma svariatissimi concenti dei 200 suonatori d'organetto, di chitarra, di mandolino e perfino del santo strumento dei profeti, per dirla coll'Aleardi; quivi egli mangia, beve, giuoca, predica, grida, schiamazza, quivi ritrova la sua famiglia la sua società, la sua patria. Egli frequenta pure due caffè-danzanti(2) (1), posti uno, in ciascuno dei due quartieri dove la marmaglia s'annida, a questi pseudo caffè si può ben applicare il nome di anticamera del carcere, e guardinna come dai lôcch istessi vengono chiamati, perchè ivi i formigh de la giusta o guardie di questura, attendono tranquillamente che vengano a far di sè spontanea dedizione i colpiti di cattura, aspettazione che di rado rimane delusa per le ragioni che diremo in appresso.
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