- Abbiamo ordine di visitare la locanda - dice il brigadiere.
A questo frequente desiderio dell'autorità, la locandiera risponde affermativamente con un cenno del capo, si reca dondolando a chiuder l'uscio che dà sul cortiletto, va in un angolo della stamberga, verso una mensola di legno, impugna una bottiglia di birra vuota, ma dal collo della quale esce un moccolo di sego, l'accende con cautela, poi si mette alla testa della schiera dei visitatori. Su, su, su per una scaletta di legno ripidissima; il buio e la fretta con cui si sale non lasciano sentir altro che gli effetti degli scalini contro gli stinchi delle nostre povere gambe, però ci dispensiamo dal descriverla di che il lettore ci saprà grado.
Eccoci sopra un pianerottolo. La locandiera schiude un uscio, avanza il braccio armato del lume e attraverso al riscontro veggonsi dei lettucci disposti con un certo ordine, nulla scorgesi che meriti d'essere notato.
- Questi pagano venti centesimi per notte - dice la padrona e richiude.
A un secondo piano vediamo la stessa cosa, e ad un terzo altrettanto: finalmente eccoci al piede di una scala a piuoli. Arrampichiamoci sopra quest'ordigno più atto a far rompere il collo, che ad agevolare la salita a chicchessia. Ogni gradino scricchiola, e tale scricchiolio potrebbe essere paragonato ad un gemito, che ci avverte che il tarlo ha scavato la sua dimora in quei piuoli, i quali minacciano di cedere sotto la pressione che sovr'essi facciamo coi nostri corpi. Su, su, su, finalmente eccoci in cima.
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