Non v'è anima bennata la quale, pensando alla serie indefinita di dolori, che dalla istituzione di siffatta pena insino ad oggi si soffersero nelle carceri senza la pausa d'un'ora sola, non senta quanto grave sia il còmpito dell'uomo che s'accinge a calcolare con austerità scientifica la quantità di miseria e d'angoscia che deve infliggere a moltissimi de' suoi simili, come pena de' loro mancamenti, pena che non sarà e non potrà dirsi legittima, se non quando la società abbia provvidamente procurato di volgere al comun bene le umane passioni. E la nostra società non vi ha ancora provveduto.
Ora, scrisse il grande pensatore testè citato, egli è certo che gli allettamenti e gli stimoli al mal fare sono maggiori, dove le plebe è disperata per miseria, o cresce ineducata e brutale, o i magistrati non vegliano a scoprire i delitti, o il braccio di una debole giustizia si abbassa dinanzi ai protetti del potente. Nè ciò basta, perchè dove gli uomini sono onesti solo entro il limite della paura, e nella società non circola uno spirito largo e vigoroso di morale e di probità, il fragile edificio delle pene non regge al peso morto della corruzione universale.
Perocchè bisogna coltivare negli uomini quell'impulso d'onore che non solo rattiene dal delitto, ma ne rende insopportabile il minimo sospetto; bisogna infliggere quanto più raramente si può l'ignominia, e far quasi economia delle erubescenze del popolo; bisogna promuovere fra gli uomini i vincoli dell'azienda civile, perchè sentano il bisogno della mano altrui e della buona opinione.
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