Questo regime è il più opportuno pei condannati, il più provvido o il più giusto pe' giudicandi. Quelli possono riflettere alle loro colpe o mettersi sulla via del bene, questi non soffrono l'avvilimento di trovarsi con tristi, prima ancora che i tribunali abbiano pronunciata sopra di loro una sentenza di reità o d'innocenza, nel quale ultimo caso essi ritornano alla libertà incontaminati, come quando per soddisfare alle gelose ricerche della giustizia furono gettati in carcere. Il condannato poi trova nel sistema segregante il modo di ottenere il proprio miglioramento morale.
Abbandonato a sè nella solitaria cella (nota Carlo Cattaneo), a prima giunta per lo più si abbandona al furore, agita pensieri di vendetta, e sfoga la sua rabbia in maledizioni. Ma alla violenza succede l'esaurimento e la stanchezza; il silenzio che segue ai vani suoi clamori, a poco a poco gli fa intendere quanto siano infruttuosi e insensati; egli vede tutta la sua impotenza e la sua nullità in faccia alla legge che senza percosse, senza catene, senza insulti, con mano invisibile lo assedia e lo stringe. L'idea della sua colpa, ch'egli fuggiva, ch'egli sommergeva nel tumulto della vita e delle passioni gli s'affaccia da ogni parte, e a poco a poco si allarga nel suo pensiero, e dilegua tutte le vanità che lo ingombravano.
Tra il rimorso e l'impazienza e il tedio, per sottrarsi agli odiosi pensieri e dissiparsi pure in qualunque modo che gli è possibile, egli afferra rabbiosamente la proposta d'un qualsiasi lavoro.
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Carlo Cattaneo
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