La solitaria riflessione, la quale allora si apprezzava così poco, che a richiesta d'un tutore impaziente o d'un padre iracondo, si applicava a' giovinetti svogliati o loquaci, si palesò una pena di tale intensità, che alcuni già la gridano soverchia a qualsiasi più nero misfatto e sproporzionato alle forze dell'umana ragione.
Gli antichi avevano insegnato che il silenzio è fomite di sapienza e di virtù; ma non si sapeva che fosse un terribile punitore del delitto. Una filosofia severa che trae tutto dalla riflessione, trovò anche nella riflessione la forza penale, e con una vasta esperienza accertò la profonda sua induzione. Sdegnando il corpo del malfattore lasciandogli pure tutti gli agi della vita materiale, essa assale di fronte l'anima sua, la sua coscienza, il principio della vita. Il patibolo con tutto il sanguinoso suo fasto si spiritualizza nel silenzio della cella. Il mero dolore animale non è più la suprema difesa di una società minacciata e vessata, ma un dolore, ch'è tutto dell'uomo, anzi tutto dell'anima, una pena sociale per eccellenza, perchè consiste nel negare le dolcezze del consorzio sociale a coloro che ne turbarono la pace.
Eppure in mezzo ad una irresistibile efficacia, questa pena così temuta dal malvagio non offende per nulla i diritti dell'umanità; essa non accorre ad ogni istante col ferro e col fuoco, nè contrista di dolorose strida, nè contamina di sangue la città. I custodi, sicuri di sè, non feroci, nè sospettosi, possono mostrar sempre tutti la calma e la dolcezza; il cordoglio, che abbatte il prigioniero, viene tutto dalla legge, non inasprito dalla loro collera, nè aggravato dal loro arbitrio.
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